«buoni» Germania (-18,2%), Gran Bretagna (-15,1%) e Francia (-3,5%)
Gas serra, emissioni in aumento
Inventario dell'Onu in 40 Paesi industrializzati. L'Italia è tra i «cattivi»: più 9,9% in sette anni
Il pianeta si tinge di nero, di nero-carbonio. Per assonanza si potrebbe pensare al carbone da ardere, invece in questo caso è l'atomo di carbonio, quello che accoppiandosi con l'ossigeno forma la soffocante anidride carbonica (CO2), il gas dell'effetto serra. Quasi tutti i Paesi del mondo, industrializzati e non, stanno bruciando combustibili fossili e pompando atomi di carbonio nell'atmosfera come mai prima d'ora, ignorando gli impegni solenni di riduzione delle emissioni sbandierati dal Protocollo di Kyoto. La «decarbonizzazione » dell'economia — che in parole povere vuol dire svilupparsi e produrre riducendo le emissioni di carbonio — sembra un inafferrabile miraggio.
POZNAN - Alla vigilia della conferenza mondiale sui cambiamenti climatici, che quest'anno si tiene a Poznan, in Polonia, da domani al 12 dicembre, le Nazioni Unite hanno distribuito la versione aggiornata di un rapporto, stavolta leggero, appena 30 pagine, che contiene l'inventario delle emissioni di gas serra relative ai 40 Paesi più industrializzati. Paesi che nel 1992 aderirono con entusiasmo alla Convenzione quadro sui cambiamenti climatici, con l'obiettivo di limitare i gas serra, ma che poi hanno, per la maggior parte, disatteso lo strumento operativo della Convenzione, il discusso Protocollo di Kyoto, non rispettando i tagli programmati. L'inventario compilato dall'Onu parte dal 1990, anno scelto come base, nella speranza che prima o poi le emissioni di gas serra possano essere ricondotte sotto quei livelli, cioè entro margini di sicurezza per la salute dell'atmosfera, e arriva al 2006, l'ultimo di cui si hanno dati certi. Come al solito, ci sono tanti modi di leggere cifre e tabelle. Chi vuole barare può limitarsi a dire che i gas della febbre planetaria (fra cui la Co2 è il principale) sono passati da 18,9 miliardi di tonnellate nel 1990 a 18 miliardi nel 2006, con una riduzione del 4,7% in 16 anni. Performance in apparenza eccellente. Un'analisi appena più approfondita, come quella contenuta nelle pagine del rapporto, precisa che nel periodo 1990-2000, la riduzione dei gas serra ha toccato addirittura il 6,9%, ma non per la virtù di qualcuno, bensì per disgrazia. Non per effetto di qualche sorprendente ritrovato tecnologico capace di rendere meno famelici i sistemi industriali dei Paesi sviluppati, ma per il crollo economico della Russia e dei Paesi ex sovietici, che ha cancellato interi apparati produttivi e energetici, con le relative emissioni di gas serra, in quel caso particolarmente nere di carbonio e di carbone. Passando, invece, al più recente periodo 2000-2006, il carico dei gas serra è balzato da 17,6 miliardi di tonnellate nel 2000 a 18 nel 2006, con un aumento del 2,3%, e tutto ciò a dispetto dei meccanismi di riduzione introdotti nel frattempo dal Protocollo di Kyoto. Il documento dell'Onu mette poi a confronto le variazioni percentuali delle emissioni dei singoli Paesi industrializzati nel periodo 1990-2006, partendo da coloro che più le aumentano e finendo con quelli che più le riducono. Insomma, carbonizzatori in testa e decarbonizzatori in coda.
CHI INQUINA DI PIÙ- E così scopriamo che, ai primissimi posti, c'è uno strano miscuglio di Paesi benestanti e relativamente più poveri, accomunati dal fatto che si sviluppano contravvenendo clamorosamente agli obblighi di riduzione di Kyoto: Turchia (+95,1%), Spagna (+50,6%), Portogallo (+40%), Australia (+28,8). La nostra Italia (+9,9%) si trova al quattordicesimo posto, nella zona nera, preceduta da Stati uniti (+14,4%) e Finlandia (+13,2%) e seguita da Norvegia (+7,7%) e Giappone (+5,3%). Nella zona bianca brillano Germania (-18,2%), Regno Unito (-15,1%) e Francia (-3,5%) che, fra i grandi Paesi industrializzati, ottengono le migliori performance. E' grazie a loro se la Comunità Europea in toto si guadagna il primato di continente decarbonizzatore. In fondo alla classifica, ci sono i forzati della decarbonizzazione per collasso economico: Russia e Paesi dell'Est, con percentuali di riduzione fra il -30 e il -56%. Il rapporto Onu non ne parla perché si limita ai Paesi sviluppati, ma se si prendono in considerazione anche quelli in via di rapido sviluppo come la Cina, che quest'anno, per ammissione di fonti governative, ha raggiunto gli Usa quanto a emissioni di gas serra (oltre 7 miliardi di tonnellate l'anno), allora si può aggiungere che il pianeta è stretto nella morsa di carbonio delle tre grandi aree continentali americana, europea e cinese e non potrà liberarsene se non con il pieno accordo fra i grandi inquinatori. Al tavolo della conferenza di Poznan, il rapporto Onu dovrebbe costituire la cattiva coscienza dell'Occidente industrializzato, indurre i Paesi firmatari del Protocollo di Kyoto a comportamenti più coerenti; quelli in fuga dal Protocollo, Stati Uniti in testa ma ora anche Italia, a rientrare nei ranghi; quelli in via di sviluppo ad aderire mettendo ormai da parte l'alibi delle responsabilità storiche dell'Occidente. Ma il documento lascia qualcuno perplesso e proprio il negoziatore italiano per eccellenza, il direttore generale del ministero dell'Ambiente Corrado Clini, che fin dagli anni '90 segue le trattative climatiche, contesta l'interpretazione letterale dei dati Onu. «Le emissioni — dice — non vanno lette in valore assoluto, ma rapportandole al prodotto interno lordo, ricavando cioè un indicatore dell'efficienza energetica di un Paese. In altri termini chi, come l'Italia, ha un Pil relativamente alto con emissioni relativamente basse, allora possiede una buona efficienza energetica e ha sviluppato un'economia a basso tenore di carbonio. In questo senso il nostro Paese sta sopra la media europea e supera anche Germania e Regno Unito». Il professor Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf, preferisce invece attenersi alla concretezza dei dati: «L'aumento percentuale delle emissioni dell'Italia, aggiornato a oggi, è ancora peggiore: +12%. E va confrontato con il -6,5% dell'impegno di riduzione assunto a Kyoto. Sarebbe ora di rimboccarsi le maniche e avviarsi verso quell'economia a basso tenore di carbonio che altri Paesi energivori come Germania, Regno Unito e Francia stanno compiendo e che è sicuramente possibile da noi, anche e soprattutto in tempi di crisi economica. Alla luce delle recenti dichiarazioni di Obama pro Kyoto, sarebbe un grave errore, per l'Italia, tornare indietro».
Franco Foresta Martin
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